Introduzione* Ovviamente in origine c’è un
manoscritto. Stavolta è stato trovato dal medico psichiatra Ottavio Santori,
che si è anche improvvisato filologo per l’occasione, apportando forse più
correzioni (e interpolazioni) del dovuto.
Cap. I La storia, narrata in prima persona da
Edoardo Sirini, è datata 184..., si tratta di una ‘classica’ narrazione di
viaggio, dalle Canarie verso l’Atlantico. Ma un uragano coglie di sorpresa l’equipaggio
ed Edoardo si ritrova superstite in un’isola non proprio deserta e non meglio
identificata.
Cap. II Nel momento del risveglio si ritrova in
una sorta di Carcere dalla complessa forma di panopticon (come teorizzò Jeremy Bentham). Nella
cella limitrofa, separata da un tramezzo, comincia a dialogare una buffa
creatura erudita e logorroica. Scopre che si tratta di un pappagallo poliglotta
dotato di intelligenza, di nome pico manfùrli,
ma faticoso da sopportare dopo un po’ di loquela sciolta. Edoardo nel frattempo
riceve la visita di un ‘funzionario’ delle Carceri, alfonso, che gli intima di imparare a memoria un lungo
monologo vergato su dei fogli. In seguito irrompe anche il carceriere balicàn, un nano mostruoso che parla un
linguaggio tutto suo.
Sette giorni dopo Edoardo riceve di nuovo
la visita di Alfonso per parlare dello strano monologo che gli è stato
affidato. Edoardo vorrebbe sapere qualcosa di più, ma il meccanismo di quel certamen risulta essere ancora oscuro. Alfonso si
offre di aiutarlo in quella difficile prova, ma in cambio di probabili favori
sessuali; Edoardo rifiuta stizzito.
Cap. III Qualche giorno dopo Edoardo riceve
stavolta la visita di una ragazza grassa e tarchiata, chiamata angiola, una concubina della Corte
Reale, che cerca di carpirgli delle informazioni. In seguito Pico, che dall’altra
parte del tramezzo ascolta tutto, si dilunga in commenti sullo strano
magnetismo esercitato da Edoardo. Il carceriere Balicàn irrompe come al solito,
ma stavolta è interessato più all’uccellaccio che ad altro. Per il momento di
accontenta di divorare un ragno pingue nella cella.
Cap. IV Edoardo trascorre il suo tempo nella
cella a memorizzare il lunghissimo monologo in compagnia di un altro ragno,
scarafaggi, uno scorpione e delle lucciole. Tutti gli insetti sembrano avere
anche un valore simbolico.
Cap. V Edoardo trascorre le sue giornate in
cella di isolamento quasi con serena accettazione, scopre così di celare un
mondo nella sua interiorità, amplifica le sue qualità visionarie e pratica
forme di meditazione basate sulla precisa visualizzazione degli spazi
architettonici. Ricostruisce la forma delle Carceri che sono inscritte nella
forma della città ciclopica che è inscritta nella forma dell’isola arcana.
Cap. VI Dopo il primo mese di detenzione viene
condotto dal cappellano athanasius
nel Piano Superiore delle Carceri, completamente diverso dal primo: vi sono
ampi spazi come se si trattasse d’una cattedrale circolare con scalinate
(alcune tronche), portali, arazzi e vetrate multicolori (per avere un’idea
parziale si può confrontare tale visione con le Carceri di Piranesi, ma più
luminose e serene).
Cap. VII Edoardo, ramingando libero per quella
struttura, s’imbatte in una meravigliosa fanciulla, erica. Scopre da un certo maxwell,
un vecchio pirata inglese, che Erica appartiene alla Corte Reale, ma si occupa
dei prigionieri più bisognosi per spirito di filantropia. Questo suo
atteggiamento sarebbe anche fomite di invidie nella Corte, ma lei è troppo
importante per essere ostacolata.
Stavolta Edoardo s’imbatte in Pico Manfùrli,
che è libero di svolazzare goffamente nel Piano Superiore delle Carceri; anche
lui ha appreso un lungo monologo ed è convinto di poter trionfare nell’oscuro certamen che li attende. Lunghissima, verbosa, ma
spassosa digressione di Pico sulla retorica del testo teatrale, sui Drammi
Sacri recitati nell’isola a mo’ di rituali (dagli esiti ancora oscuri) e sulla
natura diabolica della donna che avvinghia l’uomo nelle sue spire (allusione
all’infatuazione di Edoardo per Erica).
Cap. VIII Buffo intermezzo. Balicàn, sgattaiolato
nei Piani Superiori, cerca di accalappiare con l’astuzia l’uccellaccio
intellettuale, ma non vi riesce. A bloccarlo sopraggiunge Alfonso, che salva
Pico dalle grinfie del nano per guadagnarsi finalmente il favore di Edoardo,
ormai amico affezionato di Pico. Ma Balicàn stizzito chiama a sé Angiola per
mostrare come Alfonso infastidisca ripetutamente il prigioniero Edoardo, con avances a sfondo erotico, il che è proibito dal
regolamento delle Carceri. Nasce una forte discussione tra Alfonso e Angiola, a
colpi di accuse e ricatti incrociati: infatti Alfonso è un messo fidato della Signora (molto potente nell’isola)
mentre Angiola è concubina prediletta del piccolo Re (figlio della Signora ma detentore dello scettro del
comando, pur essendo immaturo, ovvero ancora un bambino libidinoso e ottuso).
Ma nel mezzo del litigio appare Erica che scioglie il conflitto e chiama a sé
Balicàn. Dialogo stilnovista tra Edoardo ed Erica, una sorta di donna
angelicata e perfetta per le virtù spirituali.
Cap. IX Erica vuole aiutare Edoardo a comprendere
la natura e la dinamica dei Drammi Sacri e delle procedure per l’accesso ai
Giochi e quindi conduce Edoardo da un certo Guglielmo Rabacci (il vero padre
della fanciulla) che abita in un casotto in un giardino pensile allato delle
Carceri. Edoardo scopre così che Rabacci è l’autore dei testi prolissi e
barocchi che i prigionieri devono mandare a mente (ognuno per conto suo,
inconsapevole della parte altrui: sarà il Regista poi a incastrare tutto).
Rabacci espone parte del Regolamento dei Drammi Sacri e illustra la storia dell’isola
e dell’ultima dinastia sanguinaria al governo: lui stesso è rimasto vittima
dell’ostracismo della Corte, continua a vergare i suoi chilometrici drammi alla
Lope de Vega, ma vive in quell’esilio dorato accanto alle Carceri, in un
giardino segreto, dove porta avanti anche i suoi studi di botanica.
In una seconda seduta Rabacci illustra
con maggiori dettagli la storia dell’isola, le cui ciclopiche costruzioni
sarebbero antichissime, addirittura risalenti all’Impero di Atlantide,
descritto così bene da Platone nel Timeo e nel Crizia.
Rabacci cerca di chiarire altri aspetti del complicato meccanismo del certamen teatrale, che vede coinvolta l’intera
città nella scelta degli attori migliori. Ma non tutto viene esplicitato: vi
sono cose che devono rimanere segrete fino alla fine. Ciò che appare evidente è
il destino tragico di gran parte degli attori non all’altezza del ruolo; i
mediocri vengono subito abbattuti, i meno bravi ma non mediocri permangono in
stato di schiavitù e dovranno esibirsi anche il semestre seguente, i migliori
hanno una sorte contraddittoria, potrebbero essere sacrificati in pompa magna
agli Dei o potrebbero guadagnarsi la Grazia e quindi la libertà. Ma di rado
accade. C’è un’evenienza particolare però, quella di “due attori di grado
superiore” e dunque eccelsi: uno viene sacrificato, l’altro liberato. Questa
volta potrebbe presentarsi tale opzione. Indovinate un po’ quali sono i due
grandi attori secondo le scommesse dei bookmakers? Edoardo e Pico Manfùrli...
Edoardo è stupito dal fatto che nelle
Carceri e nell’isola esistano così tante regole barocche ma non sempre
rispettate il che crea l’instaurarsi di un assurdo doppio binario: crudeltà nei
confronti dei prigionieri che infrangono le regole e anarchica corruzione dell’apparato
burocratico che dovrebbe provvedere a far rispettare le leggi per non turbare l’inesorabile
funzionamento della macchina statale.
Cap. X Edoardo abbandona definitivamente Rabacci
che gli ha dato una gran mano (su interessamento di Erica) in modo da
permettergli di essere più consapevole di fronte alle prove difficili che si
profilano all’orizzonte. Edoardo nelle Carceri stavolta s’imbatte nel regista Martino Sequeli, caotico e
chiacchierone, assolutamente inadeguato per il ruolo che ricopre. Più tardi
Edoardo incontra altri prigionieri piuttosto disorientati e preoccupati per l’esito
della vicenda, si tratta per lo più di ‘carne da macello’, naufraghi inadatti a
recitare, mandati allo sbaraglio e lasciati in pasto al ludibrio della folla
sadica dell’isola. Tra questi spicca per la sua evidente follia un certo Napoleone, un classico esaltato.
Cap. XI Il mattino seguente è il grande giorno. I
prigionieri si assiepano ai piedi di una scalinata che conduce all’uscita,
vigilata da guardie che si divertono a compiere piccole angherie. Gli attori
vengono chiamati uno per volta per esibirsi nel loro monologo caotico o
frammento di dialogo, il certamen sembra
durare l’intera giornata, un vero rituale da delirio. Giunge anche il turno di
Edoardo che rimane stupito alla visione della città ciclopica. È a forma di
anfiteatro e la scena è costituita dal tetto delle carceri che poi sprofondano
in parte nelle viscere della terra. Inoltre la città s’inerpica su per l’altura
dell’isola, che quindi sembra un Teatro geologico. L’intera folla cittadina lo
osserva, nonché la Corte Reale, situata in un palchetto laterale. Il Re è un
bambino dalla testa enorme!
Cap. XII Edoardo termina la sua esibizione,
osannato dalla folla. Terminato il Dramma, si svolgono le laboriose votazioni.
Infine il Re avrà il compito di leggere la lista dei condannati e dei salvati
da un rotolo appena vergato. Cominciano le selezioni feroci; viene dichiarata
aperta la procedura dei “due attori di grado superiore”. Ma la Corte si divide
sul sacrificio e sulla Grazia. Edoardo o Pico (come previsto)? Scoppia un
putiferio inatteso all’interno della Corte, vi sono richieste di una doppia
Grazia, fatto inaudito, il Re si spazientisce e allora condanna entrambi al
sacrificio.
Qui mi fermo poiché il finale è davvero
movimentato e inatteso, come il massacro finale di The Wild Bunch di Sam Peckinpah, ma con ulteriori
varianti. La storia narrata sembra anche essere un’allegoria o una
prefigurazione di un futuro distopico e tirannico.
* Questo racconto è presentato in
verità come lunga novella fantastica e grottesca scritta in carcere dal Conte, protagonista della novella "Sciogli le trecce, ragazza punk" e personaggio secondario in "Solitari si muore".
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